Ma perché gli stipendi per i giovani in Italia sono così bassi? Il dramma di una generazione spiegato facilmente

Faccio parte della generazione diventata adulta dopo il 2008, quella che ha conosciuto soltanto i concetti di precariato, stipendi bassi e incertezza sul futuro. Il mantra, per la nostra generazione e per i genitori piagnucoloni, è che “oggi è più difficile e gli stipendi sono troppo bassi per permettere ai giovani di rendersi autonomi”.

Ma è davvero così drammatica la situazione oppure ci stiamo solo lamentando come nostra abitudine?

Partiamo dalla risposta secca: sì, è vero, gli stipendi nell’ultimo decennio sono cresciuti pochissimo. Secondo l’OECD, infatti, dal 2010 in Italia la retribuzione oraria è cresciuta appena del 7% pur essendo stata l’inflazione tutto sommato contenuta.

Va anche detto che, per l’Italia, il 2010-2021 è stato quasi un decennio perduto perché la crescita economica è stata molto bassa e, prima del Covid, eravamo ancora lontani dai livelli pre-2008.

Quindi, volendo replicare a chi dice che gli stipendi non crescono, la risposta è affermativa: sono praticamente fermi da almeno un decennio.

E allora hanno ragione i giovani (e i genitori) a lamentarsi?

Qui il discorso diventa più complesso perché subentra un altro discorso: l’elevata patrimonializzazione delle famiglie.

E che vuol dire?

In media, si stima che il valore del patrimonio familiare delle famiglie residenti sia pari a 390.000€ tra beni mobili e immobili, qui c’è un’analisi del Centro Studi di Affari Miei relativa al solo denaro disponibile.

La bassa crescita demografica, poi, fa in modo che ci siano sempre meno giovani che, in qualche modo, vengono assistiti dalla famiglia di origine: si finisce di studiare sempre più tardi, il livello d’istruzione, seppur basso rispetto agli altri Paesi UE, è cresciuto e in generale si rimanda sempre più l’ingresso nel mondo del lavoro.

Mondo del lavoro che fa fatica a proporre salari più elevati perché c’è poca crescita economica: a parte casi limite, le aziende propongono stipendi giudicati “bassi” perché, semplicemente, non si può offrire di più.

E come mai?

L’Italia ha un problema che, in verità, investe in misura minore tutta l’Europa ma che è economicamente drammatico soprattutto per noi: da 20 anni la produttività è ferma.

Per spiegarlo a chi non ne sa nulla, la produttività misura l’efficienza del processo produttivo: se cresce, in pratica, aumenta la capacità a parità di ore lavorate di produrre più soldi e, di conseguenza, di pagare di più chi contribuisce a farlo.

Le cause di questo rallentamento sono varie, non è questa la sede per approfondire, però il grande ostacolo all’aumento delle retribuzioni è la mancata crescita della produttività.

C’è poi un altro problema che, se vogliamo, è più strettamente finanziario individuale. Ho accennato prima al patrimonio delle famiglie che è molto alto ed è pari a circa 390 mila euro in media.

Dal momento che le famiglie stanno tutto sommato bene e visto che ci sono sempre meno giovani, questi ultimi vengono abituati ad un livello di consumo e di benessere tutto sommato elevato perché finanziato, in parte, dal consumo del patrimonio che va a sopperire il gap di reddito derivante dal mancato incremento dei salari.

Un giovane che si affaccia oggi sul mondo del lavoro, rispetto ai suoi genitori o ai suoi nonni, ha prospettive inadeguate rispetto a quanto è già abituato a consumare e in generale rispetto al livello dei prezzi anche dei beni di prima necessità (affitti, immobili, automobili) che sono appunto tenuti in alto dal “supporto” del patrimonio.

I genitori pagano l’università fuori ai figli, gli finanziano parzialmente o totalmente l’acquisto della prima casa, spesso li aiutano mensilmente con dei trasferimenti che integrano il gap tra stipendio percepito e consumo.

Ciò crea una generazione di frustrati come la mia e crea un enorme malcontento nei genitori che, dopo aver messo spesso a terra tantissimi soldi, non sempre vedono le aspirazioni dei figli (e loro) realizzate.

In più questa situazione determina un altro enorme problema: le differenze sociali aumentano ancora di più perché a fare la differenza non è il reddito da lavoro, spesso talmente basso da essere ritenuto inadeguato da molti, ma il patrimonio della famiglia di origine.

Se nasci nel ceto medio e alto, in pratica, puoi permetterti oggettivamente di essere schizzinoso e trovi mamma e papà che ti danno ragione supportandoti con il loro patrimonio.

Se nasci nel ceto basso, invece, hai di fronte una montagna perché ti scontri con retribuzioni basse e costo della vita elevato.

In conclusione, quindi, ciò che appare come “ingiusto” è purtroppo “normale” alla luce delle condizioni di base che riepilogo:

  • Bassa crescita economica a causa della bassa crescita della produttività;
  • Livello degli stipendi stabile in base perché influenzato dal primo punto;
  • Livello dei consumi e del costo della vita alto perché il patrimonio familiare, fortunatamente elevato, fa da “supplente” rispetto al reddito.

Come usciamo da questo circolo vizioso?

Qui l’opinione pubblica si divide tra chi vorrebbe tassare qualsiasi cosa (ancora?) per favorire una redistribuzione della ricchezza e chi, invece, sostiene che bisognerebbe incentivare l’iniziativa economica privata abbassando il costo del lavoro in maniera tale da sostenere un minimo i redditi e, di conseguenza, i consumi derivanti dagli stipendi.

Di una cosa, in ogni caso, possiamo essere certi perché è una regola basilare della finanza personale: non si può vivere in eterno bruciando il patrimonio che, in realtà, dovrebbe essere tenuto ben distinto dai flussi in ingresso di ricchezza collegati al lavoro.

Senza un’inversione di rotta i nodi, prima o poi, verranno al pettine.

Chest’è…come amo dire!


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Imprenditore e Investitore - Co-fondatore di Affari Miei
Ha fondato Affari Miei nel 2014. Dopo la laurea in Giurisprudenza, ha approfondito la sua storica passione per l'economia e la finanza conseguendo un Master Executive in Consulenza Finanziaria Indipendente. É autore dei libri "Vivere di Rendita - Raggiungi l'Obiettivo con il Metodo RGGI" (2019) e "Investimenti Sicuri - Come Proteggere il Tuo Patrimonio e Vivere di Rendita" (2023).

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