Come Investire Oggi per Proteggere il Patrimonio: DIVERSIFICARE Serve Davvero?
“Diversificare è la chiave del successo negli investimenti”, si sente dire ovunque. Diversificare serve davvero!
Ma c’è una sottile, pericolosa differenza tra diversificazione e frammentazione incontrollata del patrimonio.
La storia di Emilio, che ha deciso di “spiattellare” il suo capitale su più banche, fondi, gestioni, ETF, polizze e addirittura criptovalute, ci offre uno spunto prezioso per fare chiarezza.
La complessità non porta rendimenti
Emilio ci ha scritto per raccontarci la sua storia e per avere la risposta a una domanda semplice: “Con tutta questa struttura riesco almeno a ottenere un 2% l’anno?”.
La sua gestione include:
- Più immobili in affitto e due case di proprietà;
- Tre banche diverse con fondi attivi simili tra loro (tecnologia, salute, AI);
- Una gestione patrimoniale su obbligazioni a scadenza;
- ETF “normali e a leva”;
- Oro fisico e Bitcoin;
- Una startup in intelligenza artificiale.
Il tutto, secondo lui, per “diversificare”. Ma è davvero così?
Diversificare non vuol dire accumulare strumenti
Il primo errore di Emilio — comune a moltissimi — è confondere diversificazione con accumulo di strumenti diversi.
Avere 20 fondi non significa diversificare, se quei fondi investono tutti nello stesso settore.
Avere tre gestioni patrimoniali in tre banche non vuol dire essere più protetti: spesso si moltiplicano solo i costi e la confusione.
La vera diversificazione avviene su più livelli:
- Diversificazione tra asset class (azioni, obbligazioni, liquidità, beni reali);
- Diversificazione geografica;
- Diversificazione temporale;
- Diversificazione fiscale, quando possibile.
Tutto il resto non significa diversificare, significa soltanto mettere insieme strumenti diversi e aumentare la complessità e soprattutto ridurre i rendimenti.
Emilio, come tanti, ha scelto la via della multi-banca e multi-consulente per “non mettere tutte le uova nello stesso paniere”.
Ma nella realtà, questo approccio genera duplicazione di prodotti, costi aggiuntivi e visioni contrastanti. Ogni gestore spinge i propri strumenti. Quando il mercato sale, tutti si prendono i meriti. Quando scende, iniziano gli scaricabarile.
Il costo della complessità: ansia e tempo
Emilio dice di ambire al 2% annuo. Eppure, senza rendersene conto, sta forse pagando il 3-4% l’anno in costi sommersi: commissioni di gestione, costi di performance, costi di ingresso/uscita, polizze, doppioni di fondi.
Tradotto in euro: se ha 500.000 euro investiti, potrebbe star perdendo 15.000 euro l’anno. A fronte di un rendimento netto (forse) inferiore a quello.
E non è solo un costo economico. È anche un costo psicologico, dato che parlare con cinque consulenti diversi, ricevere informazioni discordanti, vedere risultati parziali senza una visione unificata è logorante a lungo andare.
Il paradosso della storia di Emilio è tutto qui: un’infrastruttura complicatissima per cercare un modesto 2% annuo.
Con lo stesso capitale, una strategia più semplice — ad esempio, un portafoglio ben costruito con ETF a basso costo — potrebbe ottenere anche il doppio o il triplo del rendimento, con costi inferiori anche di dieci volte.
La soluzione? Semplificare
La strada da percorrere non è aggiungere complessità, ma semplificare il tutto, per rendere l’investimento migliore, meno complesso e più facile da capire.
Ci sono degli step da cui partire: in primis vanno analizzati tutti i prodotti detenuti e individuati i “doppioni”. Infatti è inutile tenere tre fondi comuni che investono nelle stesse cose, per esempio, solo perché magari hanno nomi diversi o sono di case di gestione diverse. Poi occorre eliminare gestioni e strumenti inefficienti e infine costruire un portafoglio semplice, coerente, e strategico.
La semplicità, nel mondo finanziario, non è superficialità ma è controllo.
Un portafoglio in ETF costruito bene, con una strategia solida e aggiornabile, è spesso più efficiente di cinque gestioni patrimoniali messe insieme.
Cerco di far capire il tutto anche con qualche numero: poniamo il caso che Emilio stia pagando il 3% l’anno su 500.000 euro: sono 15.000 euro. Passando a una gestione autonoma o con supporto indipendente può scendere a meno dello 0,5% complessivo, cioè 2.500 euro all’anno.
Un risparmio netto di oltre 12.000 euro! Ogni anno.
E senza il fastidio di dover parlare con 10 consulenti, leggere 50 rendiconti, seguire 30 newsletter promozionali.
Prima di salutarti ti lascio alcune risorse da consultare per cominciare al meglio la costruzione di un portafoglio con una strategia ben definita:
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Ti auguro un buon proseguimento qui su Affari Miei!
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