Facebook a Picco: Crollo delle Big Tech in Arrivo?

Se cito Facebook, che poi adesso si chiamerebbe Meta ma ci siamo capiti, penso che sai già di cosa stiamo parlando e quindi vado dritto al sodo.

Negli ultimi giorni sono stati diffusi i dati trimestrali della società che ha evidenziato, per la prima volta nella sua storia, delle difficoltà nella crescita.

Le cose vanno benissimo, sia chiaro, il buon Mark è ancora tra gli uomini più ricchi al mondo e l’azienda non è di certo sparita, però il mercato, per stessa ammissione dei vertici di Meta, inizia a fare i conti con la crescita che non può essere infinita e che viene minacciata dalla concorrenza.

La reazione che è arrivata dopo, col titolo crollato da 323 dollari a 220 dollari in poco tempo, sconta anche una carica emotiva molto pesante, come al solito, ed è figlia di questo tempo piuttosto volatile in borsa.

Ora, senza scendere in tecnicismi di breve termine o in analisi finanziarie complesse, proviamo a rispondere a un paio di domande più serie e strutturali di lungo termine.

Punto numero uno: Meta è messa davvero così male?

Punto numero due: è la fine delle Big Tech che, più di altre, hanno beneficiato della corsa dei mercati degli ultimi anni?

Andiamo con ordine e analizziamo un attimo i problemi di Meta

Facebook è ancora al top tra i social più usati al mondo, se la gioca con Youtube in questo momento in quanto a numero di iscritti.

Segue Instagram, che fa parte sempre del gruppo Meta, e più indietro ci sono gli altri (tra cui TikTok di cui si parla tanto).

Guardiamo Facebook come se fosse un’azienda in cui investire, cosa che dovremmo fare ogni volta in cui decidiamo di acquistare un’azione, e proviamo a capire l’andazzo riguardo il servizio che offre.

Facebook, per la mia generazione, è stato IL social network.

Quando mi iscrissi a Facebook nel 2008 nemmeno immaginavo che un giorno avrei potuto trovare i miei genitori o i miei zii ma è esattamente quello che è accaduto con il successo planetario e la diffusione del web per tutte le generazioni.

Le “disgrazie” di Facebook derivano proprio dall’essere diventato mainstream: se una cosa piace a tutti, alla lunga, tende a piacere sempre meno favorendo la possibilità che si creino delle community di nicchia.

A un certo punto, per esempio, da Facebook sono sparite le notizie: era diventato un macello con tutte quelle fake news assurde e Mark, non potendo controllare la pubblicità (suo vero business) verso i siti che usavano il social per promuoversi, ha deciso di tagliare i rubinetti.

Google ringrazia, oggi il “social” delle news è il Google Discovery a cui accedi tramite l’app del motore di ricerca dal tuo smartphone.

Poi c’erano i video. Ti ricordi quando molti davano Youtube per morto e i video erano su Facebook? Ad un certo punto Facebook ha mollato pure quelli, permettendo a Youtube di crescere e affermarsi come alternativa alla televisione.

Anche qui Facebook ha perso sia chi crea i contenuti, quelli che ora chiamiamo youtuber, sia i soldi derivanti dall’advertising in quei contenuti.

Ah, poi ci sono le foto belle e i video di quando sei in vacanza da postare per fare invidia ai tuoi amici. O meglio, c’erano… perché Instagram ha assorbito tutto questo e, per fortuna, il buon Mark ha tirato fuori un bel po’ di soldi per acquistare il social prima che andasse alla concorrenza.

Infine, qual è il problema di un ambiente troppo aperto? Che perde di serietà, quindi tutti quelli che usano il social per lavoro si sono spostati su LinkedIn che è diventato ormai il “Facebook serio”.

Restava la messaggistica che, su Facebook, non ha mai preso il volo in maniera strutturale e infatti, anche qui, l’azienda è dovuta correre ai ripari acquistando Whatsapp.

Il problema odierno di Meta, quindi, si chiama Facebook che, ad oggi, è un social con pochissime caratteristiche uniche: forse ci sono i gruppi, ma io stesso che ne gestisco uno con Affari Miei ti posso dire che l’algoritmo certi giorni blocca i contenuti e rende snervante la diffusione delle proprie idee.

Non è un caso che io stesso usi Facebook in maniera secondaria dando maggiore importanza a blog e newsletter.

Qualsiasi nuovo formato che piace sul web è un’esclusiva (o quasi) degli altri social: su Facebook quando apri il feed ormai vedi soltanto persone che litigano tra loro per delle scemenze e complottari che scrivono cretinate.

Oggi Facebook, quindi, ha tantissimi utenti ma ha un prodotto che va adeguato e può farlo in due modi: inventando di nuovo il futuro, e l’annuncio sul Metaverso è un po’ questo, oppure acquisendo qualcun altro che il futuro se lo sta inventando (vedi quanto già fatto con Instagram e Whatsapp).

Il mercato dei social media, per quel che mi riguarda, diventerà sempre più simile a quello dell’automotive: margini in calo, frammentazione enorme e aggregazioni che a un certo punto diventeranno necessarie per fare economie di scala.

Sempre che, questo non possiamo saperlo, non arrivi una tecnologia rivoluzionaria che ribalterà il tavolo creando una sorta di “anno zero”.

Meta è messa così male? Ha il maggior numero di utenti iscritti, se la guardiamo sulla base dell’aggregato, e ha la solidità e credibilità finanziaria per poter gestire la transizione. Se non lo fa, però, il rischio che possa diventare un’azienda non di primissima fascia c’è.

E le altre Big Tech?

Se Atene piange, Sparta non ride.

Questo periodo di volatilità in borsa sta facendo cadere anche gli altri player: recentemente Netflix ha subito una flessione e, in generale, tutte le aziende growth basate sul tech stanno facendo fatica con l’imminente aumento dei tassi che dovrebbe rendere il denaro più costoso.

Le Big Tech sono a mio parere i vincitori del ciclo da cui, probabilmente, stiamo uscendo.

Il mondo, piaccia o no, dopo il 2008 è cambiato grazie a loro, ma il mercato è per sua natura instabile e richiede a un certo punto degli interventi.

Con il cambio della politica dei tassi che renderà più costoso chiedere denaro in prestito le varie realtà esistenti dovranno ristrutturarsi, tagliare i rami secchi e cercare dei punti di convergenza magari con competitor o aziende che operano in settori complementari.

L’economia è sempre andata in questo modo e non vedo perché ora dovrebbe essere diverso.

Cosa dobbiamo fare come investitori?

Quando il mercato sale, siamo tutti bravi a comprare gridando TO THE MOON”.

Ora, però, le cose stanno cambiando. Quando dico che investire in singole azioni è molto rischioso faccio riferimento proprio ai rischi che abbiamo analizzato in questo mio scritto.

Rischi che non sono solo nella volatilità di breve termine, inadatta ad inesperti ed a persone dal cuore debole, ma tutto sommato gestibile.

I rischi sono di lungo termine perché se anche Meta è chiamata a rinnovarsi, figuriamoci per tutti quelli più piccoli che godono di minore credibilità e di minore accesso al capitale.

Ed è proprio per questo motivo che quando analizziamo un portafoglio composto di poche azioni, magari con decine di migliaia di euro allocati su pochi titoli perché stanno crescendo tanto”, raccomandiamo prudenza.

Se non allacci la cintura, per fare un esempio, il problema non ce l’hai soltanto se ti fermano i Carabinieri e becchi una multa: quello è il “meno peggio”, paghi e perdi qualche punto dalla patente.

Il problema enorme viene fuori se fai una frenata improvvisa e finisci con la testa nel parabrezza.

Lo stesso discorso possiamo applicarlo ai mercati. Il problema non è la volatilità che, nel breve, ci fa crollare le quotazioni delle Big Tech che abbiamo in portafoglio: in questo caso, se stiamo fermi e non ci lasciamo prendere dall’emotività, possiamo anche salvare la pelle.

Il prezzo da pagare per l’imprudenza si manifesta nel lungo periodo quando, a fronte dei cambiamenti in arrivo, il nostro portafoglio si dimostra inadatto alla mutazione.

L’inadeguatezza costa e, soprattutto, viene fuori spesso quando è troppo tardi.

Quando investiamo in borsa la cosa più importante è non prenderle e distribuire il rischio: i rendimenti se vogliamo sono un po’ la conseguenza.

Se in questi anni hai investito soltanto inseguendo i rendimenti promessi o millantati da pseudo consulenti, quotidiani di settore e influencer ti raccomando una riflessione alla luce del mio ragionamento.

Chest’ècome amo dire.


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Imprenditore e Investitore - Co-fondatore di Affari Miei
Ha fondato Affari Miei nel 2014. Dopo la laurea in Giurisprudenza, ha approfondito la sua storica passione per l'economia e la finanza conseguendo un Master Executive in Consulenza Finanziaria Indipendente. É autore dei libri "Vivere di Rendita - Raggiungi l'Obiettivo con il Metodo RGGI" (2019) e "Investimenti Sicuri - Come Proteggere il Tuo Patrimonio e Vivere di Rendita" (2023).

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